Il paradigma (o: la continuazione ad libitum) dellA davvero interminabile “tradizionE del Novecento” non avverte alcun problema di coesistenza. Nega l’altro, e fine così.
Detenendo essa (per diritto d’eredità o per quantità di applicazioni dello ius primae noctis) il potere editoriale, distributivo, pubblicistico (giornalistico=giornalettistico), festivaliero, ufficiosciampistico e premiopolitano; e riuscendo spesso a inserirsi con felice piglio vetero-democristiano anche in redazioni sedi siti e luoghi “non mainstream”, mangia e digerisce bene. Sta nel suo (del resto essendo, il suo, tutto).
Non sente alcun bisogno non dico di riconoscere, ma nemmeno di vedere l’esistenza di un altro paradigma.
Hai voglia a dire che
«C’è una differenza decisiva tra chi sente il rovinìo delle forme
esaurite, e ne è pungolato, e chi non se ne accorge e pensa di poterle
continuare con manovre persive».
(Alfredo Giuliani, prefaz. 2003 alla ristampa dei Novissimi).
Oppure che
«L’affettività turbata dallo sconvolgimento dei termini di relazione,
l’intelligenza che registra la dissociazione degli eventi mediante la
distorsione semantica, le conseguenti stesure intrecciate del discorso, i
giochi linguistici (neologismi, schizofasie), la similarità tra il
linguaggio del sogno e l’espressione della psicosi, la giustapposizione
degli elementi di logiche diverse, il linguaggio-sfida, il non-finito:
tutto ciò coincide con un’attitudine antropologica che precise
condizioni storiche hanno esaltato fino alla costituzione di un
linguaggio letterario che fa epoca e da cui non si può tornare indietro».
(Lo stesso, ma nell’introduzione del ’65).
Idem: hai voglia a distinguere fra Copernico e Tolomeo, caro CB: https://slowforward.net/2020/07/30/copernico-vs-tolomeo-carmelo-bene/.
C’è sempre, e prima, una Chiesa con cui fare i conti. Conti che, oltretutto, tiene e conduce e rivede e valida lei.
Non resta che da sperare nei videogiochi e in TikTok.
O, al limite, e senza celia, nell’asemic writing, ma chiaramente più fuori che dentro i confini paesani.